Palermo: storia della città

Palermo è la sesta città d’Italia per consistenza demografica e la maggiore della Sicilia, sede del governo autonomo regionale e principale porto dell’isola. I fenici nell’VIII sec.a.C. impiantarono la prima struttura cittadina in una superficie coincidente con l’area oggi compresa tra il palazzo dei Normanni e la Cattedrale. Le fasi di crescita dell’abitato mostrano tre aree chiaramente riconoscibili per qualità di tessuto nell’odierna compagine urbana: la città murata, i cui confini, definiti in età islamica racchiudono la storia dell’insediamento dalle origini al ‘700; la città ottocentesca, incardinata ai teatri Massimo e Politeama e proiettata sul porto; la città più recente, innestata sull’asse del viale della Libertà e protesa a nord verso la Piana dei Colli.

panorama di palermo
panorama di palermo

All’interno di questa generica classificazione per impianti, tuttavia, molti aspetti non sono facili da cogliere a causa della trasformazione, nel tempo, dei caratteri morfologici e della perdita di essenziali elementi di raccordo o di interi episodi architettonici. Le poche tracce della cinta di mura bastionate e le porte rimaste sulle vie principali sono, ad esempio, del tutto insufficienti a testimoniare della singolare qualità urbanistica della città nel XVI secolo e a trasmettere compiutamente il significato culturale e simbolico della grande croce di strade barocca, privata della naturale definizione del suo perimetro. Ma neanche l’impianto dei “Quattro Canti di Campagna” riesce più a comunicare una effettiva immagine di città ottocentesca, e ancor meno il viale della Libertà, stravolto negli ultimi decenni da una edilizia di sostituzione.
E indispensabile pertanto disporre di un quadro storico di riferimento che, per quanto conciso, aiuti a stabilire con sufficiente chiarezza le relazioni tra il manufatto urbano e il più generale contesto geografico, politico, topografico; le vicende urbanisti- che di Palermo degli ultimi cinque secoli hanno, infatti, modificato profondamente le caratteristiche naturali del sito sul quale nell’età antica si sviluppa il primo insediamento: un basso e lungo promontorio, lambito da due corsi d’acqua, il Papireto a nord e il Kemonia a sud, proteso verso il mare all’interno di un’ampia rada riparata dai venti.
I Fenici vi approdano nell’VIII secolo a.C. e, stanziandosi nella parte più interna ed elevata del promontorio, fissano un punto di scambio con le popolazioni sicane, elime e greche presenti sul territorio; ma la costruzione, due secoli dopo, della prima grande cinta di mura definisce il ruolo strategico dell’insediamento nell’articolazione di quel dominio costiero, che, con Mozia a sud e Solunto a nord, garantirà loro lo sviluppo dei traffici nel Mediterraneo occidentale e il monopolio del commercio marittimo con la costa africana e la penisola iberica. La rapidità con cui si espande l’abitato, accanto alle obiettive motivazioni di sicurezza e stabilità, mostra il maturare di una condizione urbana che nel IV secolo a.C. porta a fortificare l’intera superficie del promontorio distinguendola nelle due aree murate della Paleàpoli, il primitivo nucleo che funge da cittadella, e della Neàpoli, la città nuova affacciata sul porto. La facilita d’approdo e la singolare struttura dello scalo portuale (in origine più internato rispetto all’attuale Cala di circa 500 m) identificano l’insediamento col nome di Panormos, “tutto porto”, il cui etimo ellenico, in una città mai dominata dai Greci, rivela non solo l’intensita dei rapporti con le vicine colonie ma anche la volontà di assimilare i caratteri di una cultura più matura e raffinata. La maggior regolarità del tessuto viario di questa prima area insediativa (il “Càssaro” nel Medioevo) denuncia ancora oggi nel tramato principale le coordinate d’impianto d’età classica: una dorsale, che dalla sommità della rocca raggiunge porta di Mare (all’altezza dell’odierna via Roma), tagliata ortogonalmente da numerose strade secondarie, parallele tra loro, formanti lotti edilizi rettangolari. Più inconsistenti invece i segni rimasti del tracciato murario, interrotto da quattro o sei porte, il cui andamento avrebbe segnato il perimetro della città fino all’età araba. Legata a Cartagine dopo la guerra di Himera (480 a.C.), Palermo assume via via un ruolo sempre piu incisivo sulla scena politica mediterranea divenendo la principale base punica della Sicilia e, nel quadro di un rafforzamento della struttura insediativa, acquista valore l’ipotesi di un incremento demografico che porta la popolazione vicino ai 30000 abitanti dichiarati da Polibio. Con i Romani, che la conquistano nel 254 a.C., la città vede declinare il suo prestigio, mentre gli interessi politici e economici della Sicilia si spostano lungo l’asse est-ovest che lega Siracusa, capitale della Provincia, a Lylibeo, sede del propretore. Il porto mantiene il ruolo strategico e l’importanza che gli derivano dall’essere al centro delle rotte mediterranee, e Palermo diviene municipio, con un Senato di 100 cittadini, e sede di un questore. Nel 20 a.C. riceve una colonia da Augusto, e altri coloni militari avrà sotto Vespasiano e Adriano; la città tuttavia non si espande, rimanendo 1o sviluppo urbano contenuto all’interno delle mura puniche, mentre si fanno più fitti i rap- porti con il retroterra, nel quale la dislocazione di ville, fattorie e aziende agricole avvia una trasformazione del territorio tendente alla diffusione e al consolidamento del latifondo. Occupata dai Vandali e poi da Odoacre, nel 491 Palermo viene conquistata da Teodorico e nel 535 passa, a opera di Belisario, sotto il dominio di Bisanzio. In posizione periferica e privata di molte funzioni amministrative, nei tre secoli di governo bizantino Palermo tende a esercitare un’autonomia e un ruolo egemonico sui territori occidentali che aprono di fatto le porte all’invasione islamica della Sicilia.

Palermo e il periodo arabo

Gli Arabi la conquistano nell’ 831, nel corso delle prime fasi dell’occupazione, facendo della città il principale centro dell’isola e uno dei piu frequentati empori del Mediterraneo. Quando nel 948 la Sicilia diviene un emirato, Palermo e eletta capitale, e, partecipe del vasto impero economico e culturale dell’Islam, genera un organismo urbano complesso e coerente alla struttura sociale e politica musulmana. La città si espande fuori le mura, sulle sponde dei due corsi d’acqua e sul progressivo interramento delle foci del Kemonia e del Papireto. L’antico abitato si conferma il centro privilegiato della vita e dell’amministrazione cittadina mentre nuovi e più consistenti quartieri si sviluppano attorno al porto, ulteriormente attrezzato e difeso da un castello, nelle cui adiacenze viene eretta nel 937 una cittadella, sede dell’emiro e della classe dirigente musulmana. L’immagine tramandata dai cronisti arabi e quella di una mitica città orientale, ricca di moschee, sontuosi palazzi, mercati affollati e pieni di merci preziose. E’ paragonata per grandezze e splendore a Cordova e al Cairo e, articolata in cinque quartieri, si sostiene contasse fino a 800 000 abitanti.
Oltre al Càssaro (“al Qasr”, il castello), l’antico abitato fortificato, e alla Kalsa (” al Halisah “, l’eletta), la cittadella dell’emiro, sono il quartiere degli Schiavoni, il piu esteso e il più popolato, il quartiere della Moschea e il quartiere Nuovo, abitati prevalentemente da mercenari, commercianti e artigiani.

palermo san giovanni degli eremiti
Palermo – San Giovanni degli eremiti

Rare e incerte sono tuttavia le testimonianze architettoniche della Palermo araba (se si escludono i pochissimi resti inglobati nella chiesa di S. Giovanni degli Eremiti e qualche altro debole reperto), mentre più consistenti si presentano nel tessuto della città talune componenti urbanistiche islamiche. Larghe tracce permangono nella toponomastica e nella struttura complessiva; ma è nella viabilità minuta, nell’intrico dei vicoli ciechi ad andamento lineare, a gomito, a baionetta, a forca, diffusi in diverse zone dei quartieri antichi, che si ritrovano elementi di continuità con il sistema insediativo e l’organizzazione sociale e urbana ereditati dagli Arabi.

Il periodo Normanno

A meta dell’XI secolo, mentre declina la potenza islamica nel Mediterraneo centrale; Palermo mostra il volto complesso di una metropoli cosmopolita, i cui confini sarebbero rimasti sostanzialmente immutati sino all’età moderna e il cui sviluppo avrebbe condizionato la forma e l’assetto futuro della città. La successiva conquista normanna (1072), più che una frattura, rappresenta dunque un momento di definizione delle strutture cittadine, e il tracciamento (o il rafforzamento) di una cinta muraria tesa tutt’intorno ai quartieri periferici va interpretato come il riconoscimento, esteso all’intero abitato, di un’unica identità e qualità urbana. L’alleanza tra monarchia e clero, rinsaldata dall’incoronazione di Ruggero II re di Sicilia (1130), guida ogni scelta di politica interna e di intervento sul territorio: la città diviene un cantiere finalizzato a consolidare, attraverso le strutture materiali, l’autoritå della corona e della cattedra vescovile, e mediante il concorso di maestranze arabe, bizantine e latine fiorisce quella straordinaria sintesi architettonica di cui sono massi- ma espressione la cappella Palatina e il duomo di Monreale. L’antica Paleàpoli torna a rappresentare il fulcro della città normanna che, concentrate nelle aree prossime al porto le attività commerciali e le sedi delle nazioni mercantili, richiama nel Càssaro la nuova classe dei dirigenti e dei funzionari di corte.
Il vecchio castello arabo, ingrandito e munito di quattro torri, viene trasformato nella degna reggia dei sovrani normanni che impiantano nella pianura retrostante, sino alle pendici dei monti, un complesso sistema di parchi, disseminati di palazzi, padiglioni, fontane, peschiere, di cui sono testimonianza la Zisa, la Cuba, la Cubula. All’interno delle mura l’attività edilizia è prevalentemente assorbita dalle fabbriche religiose: la costruzione di S. Giovanni degli Eremiti, della Cattedrale, di S. Maria dell’Ammiraglio (la Martorana), di S. Cataldo, di S. Spirito, della Magione e di numerose altre chiese, è la concreta espressione della solidità e dell’unita del potere politico-religioso. Il mantenimento di un equilibrato rapporto tra le diverse componenti etniche – ebraica, araba, greca e latina – più che a principi di tolleranza risponde a più realistiche esigenze di stabilita economica e di governo; non e un caso, infatti, che, proprio negli anni in cui alla corte sveva di Federico II matura una stagione di eccezionale valore scientifico e culturale, la persecuzione e il definitivo allontanamento da Palermo della comunitàinuta musulmana pro yochi un impoverimento delle risorse commerciali e segni per la città (che nel 1266 passa con la regione dagli Svevi agli Angio) l’inizio di un’inarrestabile decadenza.

I drammatici avvenimenti seguiti alla rivolta del Vespro (1282), che portano – con il succedersi del dominio aragonese a quello angioino – all’affermazione delle grandi famiglie feudatarie, offrono l’opportunita a Palermo, privata a favore di Napoli del titolo di capitale, di godere di una pur limitata autonomia e di promuovere, attraverso il potere dell’aristocrazia dominante, ambiziosi programmi edilizi e un generale riordino delle strutture urbane.

palermo palazzo dei normanni
Palermo – Palazzo dei normanni

In diretto antagonismo con le prestigiose sedi del palazzo Reale e del Castellammare, gli imponenti palazzi fortilizi degli Sclafani e dei Chiaramonte si pongono come i principali fulcri del nuovo assetto cittadino, divenendo i prototipi di una singolare espressione architettonica che caratterizza l’edilizia civile e religiosa del XIV secolo. Viene rinforzato il perimetro delle mura chiudendone il fronte sulla Cala, e sul tracciato dell’antica cinta in- terna è consentito edificare chiese, conventi e palazzi.

Determinante in questo processo di ammodernamento il ruolo degli ordini mendicanti, presenti nel tessuto urbano già dal XIII secolo: la dislocazione e il definitivo assestamento delle loro sedi rendono più nitide le linee complessive del disegno che la città, attraverso un riequilibrio e una organica composizione delle sue parti, si appresta a realizzare. Mentre i Domenicani si portano nel quartiere dell’Amalfitana, cuore delle attività bancarie e commerciali, Francescani, Agostiniani e Carmelitani si dispongono ai vertici di un’area il cui baricentro individua sul “piano” della Martorana il luogo della rappresentatività municipale, reso stabile e riconoscibile con l’edificazione, nel XIV secolo, della prima Casa Pretoria. La sua definitiva ricostruzione in pietra, avvenuta nel 1463, e l’edificazione del Palazzo Arcivescovile con ls conseguente sistemazione del piano della Cattedrale (1452), sono gli episodi più rappresentativi del processo di consolidamento delle istituzioni cittadine, che si riflette nel clima di grande fermento edilizio che pervade Palermo sotto la dinastia aragonese.

Antiche “consuetudini” e nuove disposizioni regie consentono, dietro indennizzo, demolizioni e ricostruzioni al 6ne di migliorare l’aspetto e la qualità degli spazi urbani: il Senato interviene sistemando, ampliando e regolarizzando le principali piazze cittadine (piano della Corte, Ballard, S. Domenico), e realizzando i primi progetti di rinforzo e ammodernamento della cortina muraria ancora sostanzialmente medievale. Attraverso una frenetica attività di cantieri privati si strutturano vecchie e nuove strade, e tra esse via Alloro alla Kalsa, nella cui area si concentrano, in quello scorcio di secolo, i più alti esempi di architettura civile e religiosa improntata a una originale interpretazione del gotico catalano, di cui è massimo esponente Matteo Carnelivari. All’impianto del palazzo Aiutamicristo si deve la realizzazione della prima strada ‘rinascimentale’ della città, la via di porta Termini, anticipazione in campo urbanistico coerente alle innovazioni introdotte nelle arti figurative da Francesco Laurana e dai Gagini.

La posizione di Palermo nello scacchiere mediterraneo, negli anni di massima tensione tra l’impero spagnolo e quello turco, innesca una radicale opera di ristrutturazione urbanistica che muta profondamente l’assetto e l’immagine complessiva della città. Nella prima metà del XVI secolo gli interessi militari predominao nettamente, e incidono in modo determinante sulla scelta e la qualità degli interventi almeno sino alla battaglia di Lépanto. L’impegno più gravoso è il rafforzamento, del perimetro delle mura il cui impianto, progettato da Antonio Ferramolino nel 1586, racchiude in pochi anni la città in una potente cinta bastionata che ingloba la cittadella del Castellammare.

La funzione di piazzaforte, oltre che di capitale di un viceregno alle dipendenze della Spagna, comporta un adeguamento degli spazi pubblici, e una diversa dislocazione delle sedi politiche e mi1itari: mentre il Senato interviene sulle strutture commerciali ampliando e regolarizzando strade e piazze (piazza Garraffello, piazza Bocceria Vecchia), Giovanni de Vega ristruttura l’antico palazzo dei Normanni e vi trasferisce la sede vicereale, affiancandola al nuovo quartiere degli Spagnoli. Ulteriori motivazioni di carattere militare spingono il viceré Garcia de Toledo a fondare un nuovo grandioso porto a nord della città e ad allargare e rettificare la via del Cassaro che, prolungata sino a piazza Marina e poi sino al mare, attua il primo drastico sventramento nel tessuto medievale.https://www.siciliain.it/wp-admin/media-upload.php?post_id=1002&type=image&TB_iframe=1

Si compie cosi la più importante e vistosa operazione urbanistica della Palermo del Cinquecento che, in stretta connessione con i lavori di fortificazione, rinnova profondamente il suo spazio centrale creando un asse inter no longitudinale di comunicazione (ma anche un percorso cerimoniale rappresentativo) lungo il quale si dispongono le piazze delle principali istituzioni cittadine e i più prestigiosi edifici nobiliari e religiosi. La piazza dei Bologni viene aperta nel l567 tra il piano della Cattedrale e la nuova piazza Pretoria; questa è a sua volta spianata per rivolgere sulla via Toledo il fronte del Palazzo Senatorio e in essa viene sistemata nel 1574 la grandiosa fontana del Camilliani. In collegamento con i lavori di sventramento delle aree centrali si assiste a un denso mosaico di sistemazioni e di completamenti dell’impianto, rivolto a perfezionare in senso moderno la struttura urbana: vengono risanate alcune zone periferiche, e le depressioni del Kemonia e del Papireto sono colmate è lottizzate seguendo d modello della strada rettilinea.

Il barocco a Palermo

L’apertura, nei primi anni del ‘600, della via Maqueda, ortogonale al Cåssaro, e la creazione, al centro dell’incrocio, della piazza Vigliena sventra la città anche in senso trasversale e provoca, con l’innesto di un secondo asse direzionale, un totale stravolgi- mento del tessuto esistente: l’operazione, in sé riduttiva della complessità della stratificazione storica, semplifica l’immagine urbana, cristallizandola nella geometria di una croce di strade che divide e isola i quattro quartieri e riassumendone simbolicamente i significati politici e controriformisti nelle concave scenografie dei quattro Cantoni centrali. Inizia cosi l’esperienza barocca palermitana, durante la quale la città si trasforma profondamente attraverso un processo di rinnovamento edilizio che esalta i fasti del potere nei due secoli di predominio ecclesiastico e feudale. E’ un fiorire di palazzi, chiese, monasteri, oratori che manifestano la straordinaria capacità interpretativa di architetti quali Mariano Smiriglio, Andrea Giganti, Paolo e Giacomo Amato. La città, completata di mura e di porte, abbellisce piazze e strade con fontane e monumenti e la nobiltà, consolidatasi ulteriormente con gli investimenti nei feudi, innalza nei dintorni grandiose ville residenziali. Nella prima metà del Settecento, mentre gli interni esplodono negli straordinari stucchi del Serpotta, la ricostruzione della chiesa di S. Domenico crea, nella scenografia della piazza a stante, un nuovo centro religioso e rappresentativo imperniato sulla colonna dell’Immacolata. Le numerose e spesso contraddittorie riforme che, sotto l’incalzare della crescente crisi del regime, caratterizzano la politica borbonica ( la Sicilia, dopo le brevi dominazioni sabauda e austriaca, passa ai Borboni nel 1734), mettono in moto una serie di iniziative urbanistiche e culturali orientate a una più consapevole e responsabile crescita della città. Sotto la spinta di un’intraprendente classe laica e ‘illuminata’ si realizzano, nella seconda metà del secolo, numerosi interventi nel settore dei servizi sociali, assistenziali e culturali, alcuni dei quali particolarmente incisivi e interessanti: l’Albergo dei Poveri, il Cimitero, la Biblioteca Reale, l’Accademia degli Studi, l’Osservatorio Astronomico; all’estremità esterna delle mura meridionali il primo giardino pubblico, villa Giulia (1777), successivamente affiancato dall’Orto Botanico, raccoglie le aspirazioni di una società già attenta ai valori del mondo scientifico e naturalistico. Ma l’operazione in assoluto decisiva per lo sviluppo futuro della città è l’addizione dei “Quattro Canti di Campagna”, che il pretore Regalmici realizza nel 1778 sul prolungamento a nord della via Maqueda, trasferendo fuori le mura, con il modello a croce di strade, gli stessi principi di razionalizzazione espressi nel precedente impianto barocco. Lo sviluppo delle relazioni economiche e politiche, che nella prima meth dell’800 legano Palermo al quadro europeo, rende più nitide le linee di un programma urbanistico che tende a una per- fetta realizzazione del modello borghese.
Vengono fondati il Manicomio e le Carceri Nuove, mentre altri servizi si aggiungono a quelli già realizzati, spingendo verso un’ulteriore qualificazione delle aree in prossimità dell’abitato e lungo le nuove direttrici di crescita. Avviata dal Comitato rivoluzionario nel 1848 e recepita dal governo borbonico di restaurazione, la strada della Libertà, modello esemplare della cultura urbanistica ottocentesca, imprime un definitivo impulso all’espansione in direzione nord, creando un asse rappresentativo e ad alta redditività per i nuovi insediamenti residenziali.

Palermo Teatro Politeama
Palermo Teatro Politeama

Nel clima della “belle époque”, segnato da una vivace attività industriale e da un notevole slancio produttivo che mostra nell’Esposizione Nazionale del 1891 il culmine della prosperità, Palermo fissa nei due grandi teatri Massimo e Politeama i punti di forza della sua nuova immagine, che un’eccezionale stagione creativa, dominata dalla figura di Ernesto Basile, avrebbe portato ai vertici dell’esperienza liberty italiana. Tuttavia l’apertura della via Roma, l’unico sventramento a essere realizzato fra i tanti previsti dal Piano di Risanamento del 1860 e dal Piano Regolatore di G. Giarrusso (1885), avviata nel 1895 e conclusa un trentennio dopo a prezzo di irreparabili distruzioni, segna l’inizio di una tendenza involutiva destinata a pesare negativamente sull’equilibrio e sul destino della città storica.
Corroso da un lento ma progressivo abbandono a favore dei nuovi quartieri residenziali e gravemente danneggiato dai bombardamenti subiti nell’ultimo conflitto mondiale, il centro antico non trova sufficienti energie per rinnovarsi e riproporsi come polo trainante della rinascita economica e sociale della città. Il degrado, causato dallo spopolamento che riduce gli abitanti dai 120000 del 1952 ai 80 000 attuali (mentre la popolazione cittadina supera nel complesso i 700000), si accentua con il terremoto del 1968 che apre ulteriori ferite nel suo straordinario, e pur compromesso, patrimonio urbanistico e architettonico.

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